Thomas Kostigen: «Laser sulle nuvole e parasoli planetari: l’ingegneria climatica non è follia»- Corriere.it

2022-05-13 03:45:35 By : Mr. Dana Huang

Definita così, fa tremare i polsi: «L’ingegneria climatica è la manipolazione deliberata e artificiale dell’ambiente. In altre parole, è quando gli esseri umani assumono da Madre Natura il controllo». Da una parte c’è il senso di onnipotenza dell’uomo dell’Antropocene, l’era in cui tutto comandiamo come dei dall’Olimpo, compreso il meteo e la rotazione del globo. Dall’altra c’è una vertigine apocalittica da dottor Stranamore, che accende processi senza saper più, a un certo punto, controllarli, rischiando di arrivare a provocare l’autodistruzione del genere umano (se non quella dell’intero Pianeta). Fra i due estremi, il problema: la crisi climatica. Quella che anche Thomas M. Kostigen, americano di Boston, una delle firme più ascoltate negli Stati Uniti sui temi ambientali, considera il punto di partenza d’ogni ragionamento nel suo nuovo libro Cantiere Terra. Come l’ingegneria climatica può salvare il pianeta (edito in Italia da Luiss University Press). Può l’ingegneria climatica essere davvero utile? O rischia di portarci più velocemente alla catastrofe?

La geoingegneria raccoglie invenzioni d’ogni tipo per vari problemi del clima, dai tetti riflettenti alla gestione delle piogge: «Per ridurre la CO2 non c’è il tempo di piantare intere foreste», spiega una delle firme più prestigiose d’America. «Mi fido degli scienziati ma occorrono regole e controlli»

Un tema tutt’altro che secondario, e pieno di contraddizioni: geoengineering , come la chiama Kostigen, è infatti tante cose diverse, dalla creazione di barriere artificiali per difendere i ghiacciai alla costruzione di un parasole planetario contro i raggi della nostra stella, dalla diffusione di foreste artificiali per assorbire CO2 alle tegole anti smog. Tutto per evitare di rassegnarci al fatto che, come scrive Kostigen, «la stranezza del clima sta diventando la nuova normalità».

«Ci stiamo già abituando. Viviamo nuovi record di caldo, di scioglimento del ghiaccio, super tempeste, siccità estese, inondazioni sempre più gravi, incendi massicci e fenomeni meteorologici estremi d’ogni tipo ovunque. L’anno scorso, solo negli Stati Uniti, 106.000 record giornalieri di temperature sono stati infranti - e il doppio dei record di alte temperature rispetto a quelle fredde . Se non è la nuova normalità...».

Quindi, lei dice, è arrivato il momento di guardare alle opzioni dell’ingegneria climatica (che vedremo). I critici sostengono però che così si agisce sul’effetto invece che sul sintomo. E che tamponare la crisi climatica con la geoengineering sollevi anche gli esseri umani dalla responsabilità di comportarsi in modo corretto. «Io non dico che dovremmo smettere di cercare di curare la causa. Ma da decenni cerchiamo di trattare la stessa causa con gli stessi metodi, con pochi progressi. Ripetere una cosa ancora e ancora e aspettarsi risultati diversi è la definizione di follia. Dobbiamo agire sui sintomi perché ormai corriamo contro il tempo. Abbiamo meno di un decennio per ridurre le emissioni di carbonio del 50 per cento prima che gli effetti catastrofici del cambiamento climatico determinino il nostro futuro. Non abbiamo il tempo, serve un’azione diretta, anche spaventosa come sembra a qualcuno».

Come si fa a discernere fra invenzioni folli e soluzioni reali? Più volte idee che sembravano all’inizio da pazzi si sono poi rivelate utili. «La maggior parte delle invenzioni sembra pazzesca. Prenda l’automobile. Immagini di lanciare questa idea agli investitori quando tutti andavano a cavallo o in carrozza. Una macchina su ruote che richiedeva combustibile da estrarre e aveva bisogno di strade, un’infrastruttura tutta nuova. Follia totale. Ma l’idea ha trovato sostegno, passo dopo passo. Allo stesso modo, le soluzioni dell’ingegneria climatica basate su una scienza rigorosa che ottengono sostegno e hanno senso, passo dopo passo meritano di essere oggetto di ricerca».

Thomas M. Kostigen è uno scrittore e giornalista americano (nato a Boston) considerato fra i massimi esperti di ambiente e sviluppo sostenibile. È autore di vari bestseller certificati dal New York Times: fra questi anche «The Green Book» e «The Green Blue Book». Ha lavorato per testate prestigiose fra cui il National Geographic, il Washington Post, Bloomber e Usa Today, dove ha creato la rubrica “Climate Survivalist”

L’ultimo libro di Kostigen: «Cantiere Terra. Come l’ingegneria climatica può salvare il pianeta», edito in Italia da Luis University Press nella collana Sustain

Ce ne sono di veramente audaci. Penso a quella chiamata “Martello di Thor”: un laser con cui sparare nelle nuvole per controllare le intemperie. A prima vista fantascienza: lei stesso, per spiegarlo, richiama lo strumento del dio ripreso al cinema nella serie degli Avengers. «Sì, in effetti sembra fantascientifico, “sci-fi”, o meglio “cli-fi” come si comincia a dire. È certamente un film in cui si potrebbe vedere Gerard Butler come protagonista. Ma i laser sono immensamente utili e possono risolvere molti problemi. Laser, tra l’altro, è una parola un po’ inesatta: stiamo parlando di esplosioni di energia con cui manipolare le molecole. Li usiamo anche sul corpo umano: perché non sull’atmosfera?».

Il satellite laser del cattivo di turno colpisce la Terra in una scena del film di James Bond «Diamonds are forever» (1971) che cinquant’anni fa teorizzava quel che oggi si progetta realmente per tentare di controllare i cambiamenti climatici

Negli Anni 50 e 60 si pensava di provocare la pioggia per irrigare con progetti chiamati Cumulus o Popeye, in Cina nel 2008 si è usato qualcosa di analogo per fermare le precipitazioni durante le Olimpiadi. Tutti progetti abbandonati: non funzionavano bene. Perché il laser di Wolf dovrebbe funzionare? E non le fa paura? Lei stesso cita anche il film di James Bond “Una cascata di diamanti” dove il cattivo di turno ne usava uno per ricattare il mondo. «Nel libro cerco di usare termini accessibili in modo che i lettori possano immaginare come una tale tecnologia funziona. Per quanto riguarda la tecnologia stessa, non sostengo che improvvisamente dobbiamo andare in giro a sparare laser nelle nuvole per vedere cosa succede. Occorre un approccio misurato e calcolato a tutta la geoingegneria, in particolare alle modifiche meteorologiche. Le tecnologie precedenti, come il cloud seeding di cui parlava, non sfruttavano i progressi della scienza e, soprattutto, il computer modeling. Questi esperimenti possono avvenire in laboratorio, in un ambiente virtuale. Poi, su piccola scala, possono essere testati sul campo».

Al fondo della questione c’è anche il fatto che non ci fidiamo della capacità degli scienziati di fermarsi al momento giusto prima che i pericoli diventino incontrollabili. «Non sono d’accordo con l’idea che non ci fidiamo degli scienziati. Lei si è vaccinato? Usa internet? Ha attivato il Gps per trovare la strada oggi? Tutte queste cose sono state inventate dagli scienziati. E ci sono protocolli scientifici a cui la maggior parte di loro deve attenersi. Al livello di cui parliamo qui, nessuno scienziato svitato può avere finanziamenti per ingegneria climatica su larga scala».

Diciamo allora che, anche se riconoscessimo agli scienziati capacità di autocontrollo, il timore è che chi comanda e finanzia i progetti - governi o grandi investitori - non abbia la capacità di rispettare limiti. «Ma io dico che dovremmo avere paura. E che serve un sistema rigido di controlli incrociati su queste tecnologie . Per questo non abbiamo avuto una guerra nucleare finora: il fattore “paura” tiene tutto sotto controllo».

Le faccio un altro esempio: il progetto Sky River, di cui lei parla. Iniziato come esperimento all’Università di Tsinghua di Pechino, è stato ripreso dal governo cinese per creare il più importante progetto di manipolazione climatica al mondo. Migliaia di camere di combustione piazzate strategicamente in Tibet per propagare sostanze chimiche con cui seminare nubi. Se dovesse funzionare, una nazione controllerebbe le piogge. Non avremmo così una superpotenza al di là di ogni controllo? «Qualcuno direbbe che ci sono già superpotenze oltre ogni controllo... Penso che lei mi stia domandando in realtà se abbiamo bisogno di una politica globale in materia di geoingegneria. La risposta è sì, prima o poi. Un trattato andrà scritto, con partecipanti e supervisori. Proprio come con il nucleare , non vogliamo una potenza dominante».

Strade e tetti riflettenti, un parasole per il pianeta, gestione dei coralli... Qual applicazione di ingegneria climatica l’ha colpita di più? «Quella che continua a stupirmi è produrre acqua dall’aria. Questi dispositivi hanno la capacità di aiutare tante persone, specialmente in regioni povere e aride. Possono dare potere agli agricoltori e a chi fa colture di sussistenza, persone spesso prive del diritto di voto: e questo è un punto di svolta per coloro che sono più in basso nella piramide».

Fra le invenzioni dell’ingegneria per il clima c’è l’Albero di Lackner - di metallo, alto sei metri, serve a catturare cattura CO2. Lei dice che puntandoci si potrebbe risolvere il problema delle emissioni. Dettaglio non piccolo: costa tra i 20.000 e i 30.000 euro. Perché non investire gli stessi soldi per piantare alberi reali? «Ci vogliono 40 anni perché gli alberi maturino abbastanza da abbattere quantità significative di diossido di carbonio. Se piantassi un piccolo albero oggi, probabilmente sarei morto quando arrivasse a massimizzare la sua azione. Non voglio aspettare . E del resto abbiamo meno di 10 anni per dimezzare le emissioni. Quindi gli alberi non sono una buona soluzione. Da notare poi che dovremmo coprire un’area tre volte più grande dell’India per avere un impatto climatico significativo ».

Certi progetti anche logici, penso alla diffusione dell’energia solare in Africa, sono falliti o fanno una grande fatica a essere adottati. Perché? «Per i mercati serve il timing giusto: non deve essere né troppo presto né troppo tardi. Pensi ai servizi di streaming video: ne esistono da anni per guardare film o programmi tv. Eppure molti sono scomparsi: la tecnologia non era giusta, la società non era ancora pronta a abbuffarsi di serie tv. Ora le cose sono diverse. Il mercato e la società sono pronti anche per una tecnologia climatica giusta».

Fra i progetti che invece cominciano a essere adottati quale le sembra più utile? «Mi piace molto l’aspetto analogico dei tetti e delle strade “rinfrescanti” ( un particolare tipo di asfalto che assorbe radiazioni solari, così come di tetti riflettenti , ndr). Ci si possono costruire comunità o aiutare il proprio quartiere a rinfrescarsi dipingendo il tetto di colore più chiaro o usando superfici riflettenti più avanzate».

Lei analizza anche le possibilità, attraverso progetti di ingegneria climatica, che l’uomo arrivi a vivere in futuro sull’acqua, sott’acqua, sottoterra. Quale le sembra più probabile? «Vivere sottoterra: la gente lo sta già facendo. È un uso più efficiente dello spazio. Immagini se i grattacieli di New York fossero puntati verso il basso... In Cina stanno costruendo intere città sotterranee. Sono ansioso di vederle».

Una delle grandi emergenze del nostro tempo è quella dello scioglimento dei ghiacci. Esiste una soluzione ingegneristica efficace? «Mi piace l’idea dei “montanti di ghiaccio”. Questi dispositivi rallentano la fusione e consentono all’acqua di congelarsi. Può mantenere il ghiaccio intatto anche se quelo superficiale continua a sciogliersi».

C’è una domanda, alla fine di tutto: quali sono i limiti dell’ingegneria climatica? «Ci sono tre aree che dovrebbero ottenere attenzione politica e quindi limiti da applicare. La manipolazione delle nuvole, di sicuro. Gli scienziati di Harvard hanno cercato di fare un tale esperimento - iniettando aerosol nelle nuvole per illuminarle e riflettere meglio il sole - per anni. L’esperimento continua ad essere annullato: preoccupano le conseguenze a catena, potrebbe causare inondazioni o siccità. Bisogna procedere con cautela e politiche rigorose. Anche la cattura e lo stoccaggio di CO2 hanno bisogno di linee guida. Potrebbero portare conseguenze di cui non siamo a conoscenza».

Terza e ultima? «L’ingegneria oceanica. L’area più sottovalutata. La Convenzione Onu sul diritto del mare (Unclos) deve essere aggiornata e vanno costituiti comitati per esaminare i pro e i contro della geoingegneria dei nostri oceani. Il mare è il più grande magazziniere di CO2 del pianeta. Vanno cercate più soluzioni per contribuire a risolvere la crisi climatica».